EGISTO MACCHI
Sconfinamenti, dalla tela alla sabbia
Uno scritto di Romina Baldoni
In occasione della mostra dedicata a Egisto Macchi, Espressionismo sociale, in corso fino al 23 ottobre 2022 nella sezione MUSICA DA CAMERA, si propone di seguito un testo scritto da Romina Baldoni, apparso nel 2016 sulla rivista bimestrale Quaderni di altri tempi, che ripercorre l’attività di Macchi, in particolare quanto riguarda il fenomeno della library music.
SCONFINAMENTI, DALLA TELA ALLA SABBIA
Egisto Macchi (Grosseto, 4 agosto 1928 – Montpellier, 8 agosto 1992) ha tracciato una parabola esistenziale all’insegna della vastità.
Ripercorrendo la sua vita e il suo operato, emerge spesso un apparente contrasto tra la sua volontà di non rinunciare mai a esigenze espressive aperte all’accoglienza più ampia possibile, capaci quindi di toccare e abbracciare sensibilità diverse e, nello stesso tempo, tenere sempre alto e qualitativamente elevato il livello di comunicazione, formare una coscienza musicale sensibile alle nuove dimensioni. Questa inquietudine, questa apparente conflittualità che ci svela la sua complessa personalità e il suo tormento umano è in realtà la sofferta coerenza di un uomo che persegue grandi ideali e che si protende a svelare la necessità di far confluire in un sistema di vasi comunicanti ciò che spesso viene tenuto rigorosamente separato per presunzione o per ottusità. Lui ha incarnato l’apertura, la necessità di attingere a fonti diverse per saper cogliere intuizioni diverse; l’importanza di una contaminazione consapevole ma anche arricchita dalle lezioni del passato. Macchi ha esplorato, ha curiosato, ha sperimentato e nello stesso tempo ha sempre fatto convergere ogni sua ricerca verso le sue inamovibili certezze di impegno morale e civile, tenendo ben a mente la funzione mediatica ed ermeneutica dell’evento musicale. Ha sempre composto con la consapevolezza che la musica, e l’arte in genere, devono poter creare un contatto di sensibilità, stabilire una simbiosi tra chi crea e chi fruisce, senza mai precludersi o esternarsi dalla potenzialità espressiva che gli è propria.
Tutto in lui è stato mosso dalla consapevolezza e dalla sempre più stringente necessità di dover adeguare il linguaggio e la sintassi del suono al nuovo modo di sentire di una società in evoluzione.
I suoi campi d’indagine erano improntati alla multidisciplinarità, il suo impegno era umanistico, medico, sociologico e per tanti versi la musica ne era l’anello di congiunzione, la cartina al tornasole. Non a caso non ha mai tenuto disgiunta la sua immaginazione e il suo estro dalla finalità di celarvi dietro, sempre, un’associazione sincretica filosofico narrativa, un racconto per immagini e per simboli dai risvolti profondamente e intimamente antropologici. Nell’arco di un brevissimo lasso di tempo, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta riesce a mettere in campo una serie di iniziative che sapranno scrivere la storia della musica contemporanea, a dispetto del fatto che si è sempre mosso su circuiti più defilati e apparentemente meno alla ribalta nelle cronache coeve del suo tempo e malgrado la lunga serie di difficoltà incontrate lungo il suo percorso professionale. Nel 1959, con Antonino Titone, Franco Evangelisti e Domenico Guaccero, pubblica il primo numero – e purtroppo ultimo a causa della morte improvvisa dell’editore romano De Luca – della rivista Ordini- studi sulla nuova musica. Nel 1962 fonda a Roma con gli stessi fedelissimi amici Guaccero ed Evangelisti e con Daniele Paris, Mario Bertoncini, Mauro Bortolotti e Antonio De Blasio, l’associazione di musica Nuova Consonanza, portando avanti un omonimo festival di conferenze, concerti e seminari. Fa partire dal 1960 a Palermo il ciclo di sei concerti noto con il nome Settimane Internazionali di Nuova Musica. Fonda nel 1967 lo studio R7, laboratorio per la musica elettronica e successivamente, nel 1984, l’I.R.TE.M. (Studio di ricerca per il teatro musicale), oltre a far parte e presiedere in più occasioni lo stesso Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, nato nel 1964.
Recentemente la Cinedelic Records, label fondata nel 2001 da Marco D’Ubaldo, ha provveduto a una serie di ristampe in limited edition di svariati lavori realizzati dal compositore per la Ayna Records di Aldo Bruzzichelli. La Ayna fu fondata dall’imprenditore fiorentino Bruzzichelli nei primi anni Sessanta e rimase attiva fino alla fine degli anni Ottanta. Inizialmente fu diretta dal compositore Arrigo Benvenuti, mostrando un vivo interesse per tutto il repertorio della musica contemporanea (Girolamo Arrigo, Sylvano Bussotti, Antonino Titone, Pietro Grossi e Ruggero Lolini). Per Cinedelic sono usciti nel 2015 nel formato ellepì: Nucleo Centrale Investigativo e Il Deserto. Più recentemente (tra gennaio e febbraio 2016) un triplo, sempre in vinile, dal titolo Pittura Contemporanea, Pittura Moderna 1 e 2 e un box di 3 cd contenente la serie Pittura + Il Deserto. Al di là delle vicissitudini che portarono l’editrice Ayna a pubblicare tra il 1974 e il 1976 – all’interno di una collana dedicata alla library music – le quattro opere ormai pressoché introvabili nella versione originale, quel che ci preme ricostruire in questa trattazione, è la genesi di queste composizioni e la loro contestualizzazione nell’ambito della biografia e delle svolte esistenziali del compositore grossetano. La mancanza di note esplicative all’interno del box, certamente conseguenza di una altrettanto ambigua, per non dire raffazzonata e approssimativa, superficialità che, per tutto il periodo tra la fine dei Sessanta e buona parte degli anni Settanta, spingeva molte case discografiche a divulgare i contenuti più specificamente di nicchia sulla base delle mode del momento compiendo ripescaggi e riassemblaggi disordinati, affidandosi per lo più al sistema delle compilation, non aiuta a dare collocazione temporale a questi brani. La discografia di Macchi è stata in questo senso una delle più penalizzate, offrendo paradossalmente in pasto al pubblico più dei suoi divertissement sperimentali che non le opere più impegnate, quelle che in qualche modo avevano creato le fratture e le polemiche più accese in ambito accademico, determinando in qualche modo un’inversione di rotta decisiva nei paradigmi dell’avanguardia e della musica contemporanea. Sicuramente questa serie dedicata alla Pittura in qualche modo ci riporta alle composizioni per orchestra, ad alcuni dei puntigli compositivi che sono le abilità e le prerogative del maestro. Lo studio dinamico, la spazialità, la metrica, le variazioni. Da qui è certamente agevole poter spiegare in qualche modo il suo decisivo cambio direzionale, quel processo di frantumazione della serie che aprirà a nuovi linguaggi espressivi. Nell’Archivio Macchi, donato nel 2014 alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, esiste un fascicolo intitolato “Arte moderna e contemporanea” in cui Macchi ha riportato a penna sulla busta che contiene i manoscritti dei brani la dicitura “reg. 9/7/76”. È un documento che presenta in ordine diverso parte dei titoli di Pittura Contemporanea (Ayna EML24 S) e Pittura Moderna.
L’elenco esatto è il seguente: Mobiles, Chagall, Duo (n. 1, n. 2, n. 3), Siderale, Grafismo, Picasso, Dinamismo, Impressionismo, Mondrian, Espressionismo Pragmatico, Arte Cinetica, Il Sonno, Glaciale, Tappeto di suoni, Inciso (n. 1, n. 2, n. 3), Aggressività, Rigidità, Corpi Immoti, Tema, Pittura Geometrica, Uomo sull’asfalto (1 e 2), Violenza (cambiato in Arte Meccanica), Jannis Kounellis, Dilatazione, Lucio Fontana.
In alcuni di questi titoli è annotato a penna il nome Andreassi. Raffaele Andreassi fu un giornalista e un regista che tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta collaborò con Egisto Macchi alla realizzazione di un numero consistente di sonorizzazioni di documentari per la Rai.
Altri titoli: Pop art, Post-Impressionismo, Espressionismo sociale, Neoromanticismo, Surrealismo, Arte Sociale, Naturalismo, sono presenti presso il Fondo ma singolarmente e non hanno nessuna data se non un timbro altrettanto illuminante: Edizioni Musicali Rete. Qualcosa che ancora riporta ai primi anni Sessanta.
La problematica della datazione non sembra altrettanto rilevante per Il Deserto, opera certamente collocabile in un periodo posteriore, dopo i primi anni Settanta, e testimonianza tangibile di una raggiunta sicurezza di intenti e di tecniche, capaci di ascriversi pienamente in un discorso di completa maturità formativa.
Entriamo ora più nel dettaglio di Pittura Moderna 1 e 2.
Nel volume edito dal CIMS (Centro per le Iniziative Musicali in Sicilia) Archivio – Musiche del XX Secolo, unico volume che offre una monografia dettagliata e completa interamente dedicata a Egisto Macchi, è possibile leggere alla nota 48 di pag. 32 la seguente specifica:
“Il primo contratto stipulato da Egisto Macchi per la composizione di una colonna sonora risale al 21 gennaio 1958: l’incarico, affidatogli da Gianni Hecht Lucari, amministratore delegato della Documento Film di Roma, riguarda un documentario realizzato in quell’anno da Palma Bucarelli ed intitolato «I maestri della pittura moderna»”. (copia di detto contratto è conservata presso l’archivio privato identificato come AM1 nella trattazione monografica e corrispondente all’abitazione di Miriam Di Tommaso e si rintraccia anche dalla corrispondenza che il Maestro intratteneva con Antonino Titone in una missiva datata 4 febbraio 1961, car MT 52 del Centro di Documentazione della Musica Contemporanea di Palermo, CDMC).
Sembra però impossibile riuscire a provare con certezza un’attinenza tra questo lavoro e Pittura Moderna. Con Palma Bucarelli però il sodalizio continuerà fino a tutti gli anni Sessanta. Nel 1967 il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza si avvarrà, per le esibizioni del festival, della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. La stessa Bucarelli diventa socia onoraria dell’Associazione.
I diciassette brani dell’opera sono senz’altro all’insegna del rispetto della tradizione, fedeli ai dettami dei grandi padri dell’espressionismo del Novecento. Si intravede il furore vitalistico dell’autore in un dosaggio della ritmica assai meticoloso, attento a prediligere i movimenti lenti e gravi, spesso un indugio alla ripetizione e a un calibratissimo ricorso alle micro variazioni degli intervalli. Si percepiscono alcune intuizioni profetiche in pezzi quali Dinamismo e Arte Sociale che sanno alternare sapientemente costruzioni ossessive che culminano in serenità quasi irreali, impossibili. C’è un impiego canonico del materiale seriale, ma se ne percepiscono le spinte centrifughe, alcuni spostamenti irregolari, un modus componendi che svela già la propensione ad un controllo della funzione espansiva in cui si dirotta una nuova espressività, un bisogno di comunicare l’inconscio, il visionario che già (in forma del tutto latente) annuncia la portata eversiva del suo linguaggio. Impressionismo e Post-Impressionismo sono stratificazioni lente, diluite, imbevute di malinconia. Gli strumenti non si accavallano ma singolarmente incidono traiettorie dinamiche del tutto differenti. Dai colpi quasi industriali di Arte Sociale fino ai vuoti apneici di Picasso. La partitura è fortemente descrittiva, la metrica e le sue variazioni sono usate per suscitare un crescente senso di inquietudine e turbamento emotivo. In Grafismo le note si scandiscono secche, le vibrazioni sono come squarci atmosferici, lampi dirompenti che traducono l’ansia creativa, il moto di “resistenza” proprio dell’artista che plasma e forgia la sua opera. Ogni monologo sembra sollevarsi da una cappa opprimente di staticità. L’intuizione, l’idea, il tormento esistenziale che spinge la natura umana a dare voce alle emozioni interiori. Di struggente bellezza le elegie dionisiache di Naturalismo e Surrealismo fino alle contaminazioni vagamente jazzistiche di Pop Art.
Venendo a Pittura Contemporanea, qui appare più evidente un certo affrancamento dai moduli compositivi di stampo seriale. L’elemento ritmico e melodico non è più il focus dell’attenzione, ma tutto è giocato sulle intensità, sulle mobilità timbriche e spaziali anziché sulla scansione temporale. Entrano in gioco fattori nuovi che sono il frutto dei dibattiti che a partire dagli anni Sessanta animeranno i circoli culturali e intellettuali europei, segnando una svolta storica nell’idea formale di musica. L’esperienza dei Ferienkurse di Darmstadt si rivela in parte un tentativo di fare innovazione con pretenziosità di cancellazione di tutto il percorso precedente. Una presunzione che imploderà sugli stessi limiti concettuali delle idee da portare avanti e su un certo dilettantismo approssimativo di tanti esaltati esponenti del nuovo a ogni costo. Il rigurgito della fogna internazional-rivoluzionaria-avanguardistica costringe i musicisti più lungimiranti e sensibili a interrogarsi responsabilmente sul percorso da intraprendere. La rivista Ordini – studi sulla nuova musica, nasce proprio con gli intenti di voler tracciare una direzione concordata su cui muoversi. Aprire un costruttivo dibattito capace di superare gli estremismi dell’inconcludenza (il radicalismo della tecnica seriale o l’ortodossia della tradizione e dei dogmi) per tracciare linee chiare e oneste che aprano prospettive concrete alla musica del futuro. L’asse Roma-Palermo, stabilito attraverso il gran numero di iniziative del gruppo di sodali che formeranno un nuovo nucleo propulsore in fatto di nuova musica, sposterà, per dirla con le parole di Domenico Guaccero: “la vita musicale contemporanea a un altro polo che non fosse quello usuale del Nord d’Italia” (Autori Vari, 1984). In questo travagliato percorso però si incontreranno difficoltà e ostacoli con l’establishment culturale e con gli organismi della burocrazia preposta ai canali di diffusione. Nello stesso tempo però, grazie soprattutto alla ricchezza dell’esperienza palermitana (è importante sottolineare che l’Istituto palermitano di Storia della Musica viene affidato all’autorevole Luigi Rognoni, un autentico sostenitore della funzione didattica della musica) Macchi diviene consapevole pienamente dell’importanza della partitura quadro, del comporre per figure, più importante del comporre per gradi, mediante processi di addizione e costruzione progressiva. Pittura Contemporanea incarna questa maturità di percorso e questa ferma decisione di adottare definitivamente e fare proprio l’elemento narrativo. Importante per questa svolta diventa allora la sua attività sempre più intensa nel campo della musica applicata. Molte delle soluzioni più innovative possono essere sperimentate in questo ambito con maggiore libertà. Si ha l’irruzione definitiva della sua scrittura nel principio della contaminazione. Pittura Contemporanea si carica di quell’enorme urto deflagrante che è l’insieme dei linguaggi visivi, poetici, teatrali, improvvisativi. Non a caso è dedicata in qualche modo ad alcuni degli esponenti di quella avanguardia artistica che nei primi anni Sessanta popolavano la galleria di Bruno e Fabio Sargentini, L’attico di piazza di Spagna, entrati in contatto con Macchi proprio attraverso il maestro palermitano Antonino Titone, a sua volta grande appassionato di arte e pittura. L’arte e il teatro faranno emergere quel bisogno impellente di trovare nuove traiettorie per interpretare le nuove realtà contemporanee. La rivista Ordini in qualche modo segna l’inizio di una svolta stilistica sentita come ormai imprescindibile. I primi anni Sessanta sono anni di grandi cambiamenti e di inarrestabile fervore creativo. Bruzzichelli promette un sostegno economico alle tante iniziative culturali e propagandistiche intraprese. Forse a seguito di questo impegno offerto si ritroverà alcuni preziosi spartiti che poi deciderà di registrare (lettera ad Antonino Titone dell’8 marzo 1960 carMT44). Forse. Sempre a partire dal 1960 l’editore sostiene a Firenze l’associazione di Pietro Grossi Vita Musicale Contemporanea, aperta fino al 1967 ad accogliere nella stagione concertistica le tendenze più recenti in fatto di avanguardia. Ma per fare il punto su ciò che avviene esattamente in quegli anni proviamo a elencare alcuni passaggi chiave. Il Gruppo Universitario per la Nuova Musica (Gunm) di Palermo, prima istituzione accademica a promuovere i nuovi linguaggi, si pone l’obiettivo di diffusione e coinvolgimento dell’attività concertistica e delle iniziative culturali e dibattimentali. La definitiva accoglienza e legittimazione delle tendenze aleatorie e casuali (dispersione e frantumazione) avrà lo scopo di colmare lo iato tra il sentire dell’artista e quello della società. Nel 1963 nasce Collage. Dialoghi di Cultura. Rivista Internazionale di Nuova Musica ed Arti Visive Contemporanee di Paolo Emilio Carapezza e Antonino Titone. Mario Diacono collaborerà nell’ambito delle arti visive. Sempre nel 1963 viene messa in scena a Palermo l’opera di Macchi Anno Domini. Sarà l’inizio di una collaborazione Diacono-Macchi che porterà alla composizione A(lter) A(ction). Sicuramente la composizione teatrale più importante nel raggiungimento della maturità artistica ed estetica di Macchi, liberamente ispirata alle lettere di Antonin Artaud scritte dal manicomio di Rodez. C’è anche un saliente punto di rottura con la tradizione accademica e una sfida dichiaratamente aperta nella provocatoria opera del 1964: Morte all’orecchio di Van Gogh.
Nella quinta edizione delle Settimane per la Nuova Musica di Palermo, 1965, Mario Diacono cura l’allestimento della mostra Revort 1. Documenti d’arte oggettiva in Europa, in cui vengono esposte opere di Barni, Ceroli, Chow, Furnival, Gaul, Green, Hodicke, Lombardo, Leng, Pino Pascali, Polke, Richter, Tacchi, Tilson, Titone, Whitefield. Il festival è all’insegna di un modello multidisciplinare che accoglie, accanto alle manifestazioni musicali, il secondo Incontro degli Scrittori del Gruppo ’63, proiezioni di cinema sperimentale e teatro (cfr. Collage, 1965).
Ceroli, Burri, Pascali, Fontana e Kounellis sono gli esponenti di quella nuova corrente che è l’Arte Povera. Una forma di rivolta concettuale contro la tradizione, protesa al ripristino delle strutture originarie del linguaggio e della società. Ciò che in pratica si stava verificando anche in altri ambiti espressivi e che John Cage contribuirà a incanalare. Non si può infatti non tenere conto che proprio al primo festival di Nuova Consonanza, tenutosi dal 27 maggio al primo giugno 1963, oltre allo stesso Cage, Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono sarà presente una composizione per clavicembalo di Guaccero: Improvvisazione e una composizione di Macchi Composizione 4, attinente proprio a ulteriori indagini sull’alea e sull’esecuzione indeterminata nell’azione musicale aperta alla gestualità, alla teatralità, alla semiotica e al racconto per immagini.
Pittura Contemporanea è quindi un punto di snodo cruciale nel percorso intrapreso da Egisto Macchi. Segna lo stacco tra la prima produzione strumentale, ancorata a rigidismi seriali, e l’avvio di una fase obliqua, irregolare, in cui il compositore cerca di privilegiare l’emergere del concettuale, il linguaggio riportato alla sua essenza. Nel suo articolo Produzione e consumo della Nuova Musica, apparso su Ordini, c’è un passaggio cruciale:
“L’opera musicale non si identifica con i suoni usati per realizzarla, né con il loro numero assoluto, voglio dire, né con la loro qualità né con la loro disposizione. I suoni sono solo un mezzo per estrarre dal silenzio e portare alla luce quei rapporti di tensione e rilassamento che costituiscono la dinamica della vita spirituale, così come i colori in pittura o le parole in poesia”.
L’accoglienza del principio dell’alea è per Macchi la volontà di offrire al suo pubblico un’opera dai confini aperti, per suscitare impatto psicologico. Attenzione puntigliosa alle intensità per un pathos drammatico, ricerca dinamica come ricerca dei sentimenti e delle sensibilità più recondite. Non è mai un esercizio meccanico né una provocazione fine a se stessa ma sempre volontà di ritrovare nuove forme espressive. In Arte Cinetica c’è una trenodia propulsiva che dà l’idea della frenesia comunicativa. Anche in Optical gli strumenti classici vengono usati in modo assolutamente non convenzionale. L’ascolto deve potersi evolvere in partecipazione, incontro. Fontana gioca sul montare della tensione, sulla sospensione, e Burri rende palpabile e tattile quella che era l’estetica del pittore: l’alternarsi delle densità materiche, i buchi neri, i cunicoli, le crepe, le bruciature e gli anfratti sensoriali. Ma Jannis Kounellis è l’apice più sorprendente della creatività di Macchi. Un crescendo semi aleatorio che presenta affinità stilistiche con In C di Terry Riley. Kounellis è l’esponente di punta dell’evoluzione artistica direttamente derivante dalla pop art americana. Macchi lo conosce a Roma perché legato ai Pittori della Scuola Romana di cui si occuperà musicando svariati documentari sull’argomento e lo vorrà come scenografo di A(lter) A(ction). È dal 1964 che, dalla sua casa di via del Babuino 36, condivisa con Titone, conosce ed entra in contatto con artisti del calibro di Mario Diacono, Pino Pascali, Mario Ceroli e lo stesso Kounellis, autori presenti in Pittura Contemporanea.
Infine, Il Deserto.
Sicuramente l’esperienza in ambito teatrale e cinematografico segnerà in modo indelebile la metodologia compositiva del maestro. Il suo modo di procedere nell’invenzione musicale non potrà mai più scindersi da collegamenti ideologici al fatto scenico. Per Macchi, sia in sede concertistica che in ambito di musica applicata, contava la qualità, l’adozione di linguaggi avanzati e sempre funzionali alla traduzione delle nuove, astratte, necessità estetiche e linguistiche. Anche la tecnologia e l’elettronica vengono usate a questi fini. Come fu per Deserts di Edgar Varèse, la volontà ormai manifesta è quella di frantumare la continuità idiomatica basata su un ordine già stabilito. Il meccanismo della sovrapposizione e della contrapposizione porta alla luce un’intelligenza dei suoni legata all’istinto, all’intuito, all’ordine naturale. L’arte maieutica del fare musica è pian piano sostituita da una forma di psicoergoterapia. Ci si rende conto che proprio la rigidità di certi dogmatismi rendevano accessibili certe intenzioni solo agli addetti ai lavori. Il procedere per sontuosi affreschi sonori aiuta man mano a riappropiarsi di quella espressività alla quale si pretendeva di rinunciare proprio temendo che il contatto con un pubblico più vasto potesse condizionarla. Il Deserto è una composizione di rara e struggente bellezza, il denominatore comune sembra essere l’equilibrio, il dosaggio perfetto. Vengono usati effetti, amplificazioni e cut up per introdurci a un racconto emozionale suggestivo e fortemente atmosferico. Gli intervalli e le calibrature danno voce al silenzio, tracciano un montare tensivo e partecipativo fortemente cinematico. C’è dentro tutto. Il richiamo atavico dei suoni naturali, l’etnomusicologia, il tribalismo e la cibernetica, la suggestione evocativa e timbrica delle vocalità. I suoni affrescano scenari e autentiche figurazioni scenografiche. Si viene rapiti da questi quri multicolori realizzati con tecniche multiple. I ronzii atipici dei fiati che diffondono fumi psichedelici come miraggi vagamente lisergici, incedere percussivo e ansiogeno, andamenti ritmici del tutto irregolari e imprevedibili. I titoli sono ampiamente esplicativi di tutte le situazioni in cui si viene catapultati. L’andatura dei Cammelli tra le dune, le ritualità tuareg, Le genti del Deserto e Suoni per un Rito, le folate implacabili dei venti desertici, Ghibli. Ma ciò che impregna maggiormente di incanto e raffinatezza questa opera è l’intensità con cui ci si apre e si riesce a comunicare senza parole una serie di sentimenti, stati d’animo; liricità e drammaticità che raccontano con i colori più vividi lo spessore e la vivacità di questo grande compositore. Il suo è stato un lascito morale, una lezione di vita e di integrità etica che ci arriva intatta da tutto il suo repertorio. Era il suo bisogno di esercitare se stesso e di mettersi in confronto e ascolto costante con il circostante e con la sua realtà generazionale, già in qualche modo e suo malgrado, proiettata nel molteplice e nell’intermediale. E questo Macchi lo aveva capito fin troppo presto per essere capito a sua volta. Ora l’auspicio, dopo questa serie di preziose ristampe riportate alla luce da Cinedelic, è che anche il resto del repertorio di Egisto Macchi possa trovare finalmente una giusta rivalutazione e divulgazione. In tutta la sua vastità e multidisciplinarità. Per dare posto a un tassello importante della nostra storia che fornisca anche nuovi stimoli e nuove sfide per il futuro.
* Ringrazio per la grande e professionale disponibilità: Lamberto Macchi, Patrizia Sbordoni dell’Associazione Nuova Consonanza, Marco D’Ubaldo di Cinedelic, la dott.ssa Angela Carone della Fondazione Cini di Venezia e il dott. Marco Cosci (nda).
ROMINA BALDONI nasce a Montefalco (PG) il 1°giugno 1970. Ottiene una formazione umanistica con una laurea in Scienze Politiche presso La Sapienza di Roma e successivamente si specializza in Diritto Comunitario al Collegio Europeo di Parma. È uditrice presso la cattedra di filosofia patristica all’Università Pontificia Gregoriana con il prof. Flannery e collaboratrice del dipartimento di diritto ecclesiastico con il prof Sergio Lariccia. Per oltre vent’anni ha lavorato come bibliotecaria e ufficio stampa presso l’USMI – Unione delle Superiore Maggiori d’Italia e attualmente è iscritta alla Scuola Vaticana di Biblioteconomia dell’Apostolica Vaticana. Presta contributi di approfondimento e ricerca su riviste quali Consacrazione e Servizio, Quaderni di Diritto Ecclesiastico, Concilium e su magazine di arte, musica e cultura come Distorsioni, Krill, Minima&Moralia, Quaderni d’altri Tempi e OndaRock.