SEIICHI FURUYA
Il lavoro secondo le parole dell’artista
Last Trip to Venice
2002

Il testo che segue è stato scritto dall’artista e introduce il lavoro fotografico da lui eseguito a Venezia nel 1985. In esso l’artista presenta immagini in cui emergono dei momenti di privata quotidianità trascorsi con la moglie Christine durante un viaggio a Venezia, seguito a un aggravamento della depressione di lei. Nel testo si accenna al suo futuro suicidio, in un clima di attesa, di sospensione dei sentimenti. C’è un intreccio tra narrazione e immagine, o meglio la fotografia scrive in sordina una storia, di morte, di amore e di unione.

 

Il corpus fotografico è costituito da due foto – Venice (Portrait of Christine Furuya-Gößler), 1985 – presenti nella mostra Songs of Experience di Friedl Kubelka vom Gröller.

 

ULTIMO VIAGGIO A VENEZIA

 

La destinazione non ha importanza.

«Da qualche parte lontano», «Solo noi due», lei disse all’improvviso due notti dopo essere tornati a casa. Era stata ricoverata per circa una settimana. Anche io ero intenzionato a lasciare casa, in cui sembrava essersi diffuso l’opprimente odore di malattia, e il contesto familiare, per un periodo. Mi sembrava che gli oggetti familiari, ma anche i nostri amici e l’ambiente circostante, l’avrebbero solo condotta ad una confusione maggiore. 

Scoprii che c’era un treno notturno per Venezia, quindi ci precipitammo subito in stazione. Lasciammo Graz su cui erano calate oscurità profonda, freddo e depressione. 

Arrivammo a Venezia la mattina seguente. La città lagunare si stendeva di fronte a noi piatta e incolore, quasi priva di gente e appena sveglia. Invece del nevischio, pascoli pallidi e montagne ghiacciate, siamo stati accolti da una città di pietra, bagnata dal profumo del mare. Lasciando la stazione di Santa Lucia, il mio sguardo è stato rapito dalla cattedrale sul canale. Ero affascinato dalla bellezza e dall’insieme armonico formato dalla cupola e dai suoi archi: mi fermai brevemente. Avevo come l’impressione che una mano invisibile stesse dipingendo, in pallido verderame, nel cielo ampio, piatto e vuoto.

Passeggiare senza meta. Era tutto ciò che facevamo – da sinistra a destra, sopra e sotto – solamente camminare. Il passaggio in vaporetto ci concedeva solo una piccola pausa. Sul ponte, esposta al vento salato del mare, Christine fissava in lontananza.

Per un breve momento si girò e mi sorrise.

«Ottima idea essere partiti, dopo tutto», pensai. 

Oggi non ricordo esattamente di cosa parlammo durante il nostro camminare. Il mio tedesco non era tanto male, ma non riuscivo a trovare le parole per esprimere il dolore che avevo nel profondo del mio cuore.

Due giorni dopo lasciammo Venezia sotto la pioggia. Per un attimo ebbi una sensazione di calma, ma nel profondo c’erano ansia e depressione. Era così vicina a me che avrei potuto toccarla e, allo stesso tempo, tanto lontana.. In un giorno d’autunno, qualche mese dopo, si suicidò a Berlino Est.

Oggi di quel viaggio a Venezia restano due pellicole, come due documenti. Una di queste l’ho esposta per sbaglio due volte. Dopo il nostro ritorno da Venezia, Christine fu nuovamente ricoverata e io mi trasferii da Dresda a Berlino Est per un nuovo posto di lavoro. Questo spiega perché le immagini del paesaggio urbano di Berlino o del mio nuovo appartamento si sovrappongono a quelle di Venezia. L’ultimo viaggio e la sua morte – nel frattempo tutto questo riconduce a 17 anni indietro nel passato. Mentre cerco di filtrare l’immagine singola dalle scene doppie, i miei occhi lenti si fermano. Li chiudo e aspetto delle parole… 

Il fotografo che nasconde il suo volto dietro queste immagini è un uomo che ha continuato a fotografarla per portarla alla morte?